lunedì 16 giugno 2014

Ad ogni musica la sua età. Perché amiamo tanto la musica e come cambiano i nostri gusti musicali nel tempo.

La musica ci fa provare emozioni, ci fa sognare, ci rappresenta, ci descrive agli altri, scandisce gli eventi importanti della nostra vita…volenti o nolenti è sempre presente nelle nostre giornate.
Ma avete mai provato a chiedervi perché la ascoltiamo tanto volentieri….in fin dei conti, a cosa ci serve ascoltare musica?
Oppure, avete notato se i vostri gusti musicali sono cambiati nel tempo?
Ognuno darà la sua personale risposta, ma alcuni studiosi hanno cercato di individuare delle motivazioni che fossero universalmente valide, che potessero far comprendere quale è il valore psicologico della musica. Secondo uno studio pubblicato sul British Journal of Psychology esistono sei principali motivazioni all’ascolto di musica:

-         Aiuta ad essere di buon umore: questa è la motivazione più importante, migliora il tono della giornata, rilassa, entra in risonanza con le emozioni che proviamo. Da uno studio del 2011 è risultato che l’ascolto di musica positiva dopo aver svolto male un compito ha permesso ai soggetti di mantenere una maggiore speranza di poter migliorare rispetto a chi non ha ascoltato musica subito dopo l’esperimento.
-         Serve come diversivo: in altre parole può riempire momenti vuoti o noiosi, ed è per questo che durante i viaggi, in particolar modo quelli lunghi o con attese, ci sentiamo persi senza le cuffiette!
-         Aiuta a gestire il cattivo umore: per esempio durante i momenti tristi la musica (in questo caso anch’essa triste) può permetterci di entrare in risonanza con la nostra emozione e in qualche modo ci aiuta a sentirci meno soli col dolore. Esistono comunque molti studi che dimostrano quanto l’ascolto di musica rilassante possa aiutare a diminuire il senso di ansia o panico o addirittura il dolore fisico.
-         Crea rapporti interpersonali: questa è la funzione principalmente sociale della musica, è presente in tutti i luoghi di socializzazione, scandisce i nostri incontri con gli altri….e spesso con il partner, pare infatti (secondo uno studio francese) che l’ascolto di musica romantica renda più probabile che l’altra persona sia propensa ad accettare di approfondire un rapporto, magari con un appuntamento a due.
-         Aiuta a definire la propria identità: ci si identifica con il genere musicale che si ascolta e, ancora di più, con gli idoli musicali che lo propongono; attraverso la musica comunichiamo agli altri (ma anche a noi stessi) chi siamo e cosa ci piace, a cosa sentiamo di appartenere e cosa rifiutiamo.
-         Infine sembra aiuti a conoscere il mondo: a seconda dei vari paesi abbiamo generi musicali differenti, legati all’identità etnica, ascoltare musica di altri continenti ci aiuta a capire (per lo stesso principio illustrato al punto precedente) come è il mondo fuori dalle mura di casa nostra. Inoltre non bisogna dimenticare che l’evoluzione degli stili musicali nel tempo, la maggiore presenza di uno rispetto agli altri, ci indica in qualche modo quello che potremmo definire lo “spirito del tempo”, ossia come si sta muovendo il mondo intorno a noi.

La musica quindi scandisce le nostre giornate, ci aiuta a migliorarle, ma scandisce in questo modo anche tutto l’arco della nostra vita; e mano a mano che si avanza con l’età i gusti sembrano cambiare, almeno a detta di uno studio del 2013 pubblicato sul Journal of Personality and Social Psychology. I ricercatori hanno diviso i generi musicali in 5 categorie;
-Dolce
-Senza pretese
- Sofisticato
- Contemporaneo
- Intenso,
e individuato le preferenze in base all’età degli ascoltatori.
Durante l’adolescenza, quando l’ascolto di musica appare in genere maggiore, sembra prevalere la musica “intensa”. In questa fase della vita la cosa più importante è l’indipendenza e la formazione della propria individualità, l’ascolto di musica “forte”, aggressiva, che usi suoni distorti, ha una connotazione di ribellione che è estremamente importante per definire la differenza dai propri genitori e dalla famiglia di appartenenza.
Arrivati all’età adulta la preferenza per l’intenso lascia il campo alla musica “dolce” caratterizzata da suoni più soft, ed alla musica “contemporanea” o elettronica, che indicano un maggiore bisogno di accettazione sociale. In effetti questa è la fase della vita durante la quale si ricerca la stabilità (sociale ed emotiva), un partner, e queste forme musicali sono quelle che caratterizzano i luoghi di socializzazione oppure che favoriscono un rapporto di maggiore intimità con l’altro.
Con la mezza età inizia l’epoca delle sonorità più “sofisticate” e ricercate (maggiore interesse per generi di nicchia come il jazz o la musica classica) oppure della musica “senza pretese”; sono generi visti come rilassanti, i primi esprimono maggiormente lo status o la cultura mentre i secondi riflettono l’esperienza della famiglia, parlano dei sentimenti che tutti possiamo provare.

Questo è quanto dicono gli studiosi, e voi, vi ritrovate in queste descrizioni??

lunedì 21 ottobre 2013

Quando "la notte porta consiglio": l'importanza di dormire bene

Da tempi immemorabili i medici hanno sempre decantato l’importanza di una buona qualità del sonno notturno; oggi che la scienza ha fatto passi da gigante sono emerse tutte le varie “evidenze scientifiche” che provano la saggezza del vecchio detto “la notte porta consiglio”. Qui di seguito troverete una brevissima rassegna degli studi più recenti riguardo al sonno ed in conclusione quelle che sono considerate le regole di base per un buon riposo notturno.
Innanzitutto è stato confermato il fatto che il sonno aiuti in qualche modo a “ripulire” il cervello. Secondo un nuovo studio della University of Rochester (Usa) pubblicato su Science,  il sistema di ripulitura del cervello sembra essere attivo principalmente di notte, durante il riposo.  
Uno degli autori della ricerca, ha scoperto che nel cervello esiste un sistema che drena in modo veloce i rifiuti (sottoprodotti dell’attività neurale, come le tossine), chiamato “sistema glimfatico”. Simile al sistema linfatico che detossifica il corpo, il sistema glinfatico agisce come una serie di tubi che, situati sopra i vasi sanguigni del cervello, fanno scorrere il fluido cerebrospinale che lava via le tossine. Il concentrato di sostanze tossiche ( tra cui quelle responsabili del morbo di Alzheimer e di altri disturbi neurologici) viene poi drenato nei vasi sanguigni cerebrali e espulso dal cervello. 
Esperimenti su topi hanno infatti dimostrato che il sistema di lavaggio è dieci volte più attivo nel sonno che nelle ore di veglia. Inoltre nel sonno è stato visto che i neuroni si restringono riducendo le proprie dimensioni del 60% proprio per consentire al sistema di drenaggio delle tossine di funzionare meglio. 
Questo per quanto riguarda il funzionamento “fisiologico” del cervello; ci sono poi altri studi che spiegano come il riposo notturno aiuti a mantenere una maggiore lucidità nel prendere delle decisioni.
A parere degli esperti della Carnegie Mellon University, che si sono occupati di condurre il più recente studio in proposito, sarebbero sufficienti due minuti di distrazione per poter prendere una decisione o giungere alla soluzione di un problema in maniera più lucida.
I ricercatori hanno osservato i processi cerebrali di 27 adulti, ai quali era stato richiesto di distrarsi attraverso compiti matematici, ad esempio memorizzando sequenze di numeri, prima di dedicarsi alla decisione da intraprendere.
In questo modo gli esperti hanno potuto dimostrare come il cervello sia in grado di elaborare i dati relativi alla situazione decisionale anche nel momento in cui una parte di esso venga occupata da attività tese a generare distrazione.
I momenti di distrazione sarebbero dunque necessari per intraprendere decisioni migliori. I risultati dello studio sono stati pubblicati sulle pagine della rivista scientifica Social Cognitive and Affective Neuroscience.
Una delle più visibili evidenze di questo fenomeno è rappresentato dai sogni che sono il modo in cui il cervello elabora, integra e comprende nuove informazioni.
Ma un buon sonno non sembra essere utile solo all’individuo, ci sono infatti studi che dimostrano come “dormire bene” faccia bene pure alla vita di coppia; è quanto emerso da uno studio condotto da parte dei ricercatori dell'Università di Berkeley. Dormire meglio e a lungo rende marito e moglie più propensi a compiere gesti di tenerezza reciproca durante il giorno.
Gli esperti si sono occupati di annotare e di valutare gli apprezzamenti ed i gesti di tenerezza che le coppie osservate hanno compiuto durante il giorno nel corso dell'esperimento.
Il team di ricercatori californiani si è occupato di studiare 60 coppie di età compresa tra i 18 ed i 56 anni. Ad ognuna di esse è stato richiesto di tenere un diario delle ore di sonno che marito e moglie si sono concessi ogni notte, con annotazioni sulle attenzioni e sulle tenerezze scambiate vicendevolmente nel corso della giornata.
Inoltre ai volontari è stato richiesto di prendere parte ad un esperimento nel corso del quale sono stati valutati l'affiatamento e la capacità di gioco di squadra all'interno della coppia. Dai risultati ottenuti è emerso come le coppie che si concedevano un maggior numero di ore di sonno riuscissero ad andare maggiormente d'accordo.
Ora che abbiamo appurato “scientificamente” quanto sia importante dormire bene, vediamo come fare in pratica per garantirci un buon riposo notturno; non servono farmaci, è sufficiente seguire alcune piccole regole:
1.                  Andare a dormire solo quando si ha veramente sonno preferimilmente ogni sera alla stessa ora.
2.                  Alzarsi ogni mattina alla stessa ora, anche durante il fine settimana e indipendentemente da quanto si è dormito la notte. Nel caso ci si svegli prima del suono della sveglia, alzarsi dal letto e iniziare la propria giornata.
3.                  Evitare o limitare i “sonnellini” pomeridiani. Nel caso si abbia necessità è preferibile che non avvengano nel tardo pomeriggio poiché influiscono negativamente sul sonno notturno.
4.                  Non rimanere nel letto nel caso non si riesca a dormire, alzarsi, uscire dalla camera da letto e dedicarsi ad attività rilassanti, come la lettura di un libro o ascoltare musica soft.
5.                  Il letto deve essere utilizzato esclusivamente per dormire o per attività sessuali. Non mangiare, guardare la televisoone, lavorare o studiare a letto.
6.                  Prima di coricarsi svolgere attività rilassanti, per esempio facendo un bagno caldo (non la doccia, che ha un effetto stimolante), assumere bevande a effetto rilassante, come latte caldo o tisane o infusi a base di erbe.
7.                  Se si ha fame all’ora di andare a dormire, mangiare qualcosa di leggero per non avere poi problemi di digestione.
8.                  Controllare l’ambiente della camera da letto: rumore, temperatura, umidità e luminosità poichè influiscono sul sonno. Evitare, quindi, di dormire in ambienti rumorosi, troppo caldi o troppo freddi.
9.                  Se possibile non conumare pasti pesanti o eccessivamente ricchi di carboidrati la sera in quanto rendono difficile la digestione e ritardano l’addormentamento.
10.              L’esercizio fisico va evitato nelle ore serali, ma svolgere con regolarità un’attività fisica durante il giorno, può facilitare una buona notte di sonno.
11.              Non consumare caffeina, alcool, tabacco, o cioccolato nelle ore serali o nel tardo pomeriggio. Sono sostanze eccitanti.
12.              Evitare l’uso inappropriato di farmaci ipnotici e sedativi perché determinano dipendenza,  possono portare a un peggioramentoin termini qualitativi del sonno.
13.              E’ sconsigliato svolgere attività mentali troppo impegnative la sera.

domenica 6 ottobre 2013

L'altra faccia delle emozioni

Ansia, rabbia, paura sono emozioni inevitabili nella relazione con l’altro, in particolar modo nelle relazioni d’aiuto ed educative. Usarle come risorsa, piuttosto che come “deficit” emotivo, è utile a rendere più “umana” la nostra vita di tutti i giorni.



La giornata formativa intende fornire gli strumenti teorici e pratici per riconoscere le emozioni negative, gestirle e renderle un'arma vincente. 

Terrà l'incontro il Dott. Fabrizio Mancinelli. Psicologo e Psicoterapeuta



E' rivolto a insegnanti, educatori, operatori sociali e chiunque fosse interessato. 



L'incontro è a numero chiuso. Le iscrizioni devono pervenire entro e non oltre mercoledi 23 ottobre 2013 al numero 333 4867536.



Alla fine verrà rilasciato un attestato di partecipazione.



La quota di partecipazione è di 15€

giovedì 3 ottobre 2013

Gli innumerevoli benefici di un sorriso : )

In tempi critici e ansiogeni come i nostri è sempre più difficile affrontare con serenità le cose che ci accadono tutti i giorni, è difficile sentirsi davvero felici per qualcosa, saranno le innumerevoli preoccupazioni ma anche gli eventi più gioiosi sembrano dare meno soddisfazione rispetto al passato. Il problema fondamentale è che per mantenere un buon livello di soddisfazione non possiamo fare a meno di tenere in conto l'ambiente che ci circonda: in questo senso possiamo fare tutto il possibile e l'immaginabile per mantenere dentro di noi calma e serenità ma se tutto intorno a noi continua a spirare un forte vento di crisi la nostra forza viene di continuo intaccata da ansie e preoccupazioni.
Nonostante ciò non è possibile dimenticare quanto realmente il nostro atteggiamento interiore può essere utile per dare un colore differente alla grigia realtà che magari stiamo vivendo; voglio specificare che non parlo tanto di situazioni realmente critiche, che non possono assolutamente essere negate ma anzi vanno osservate bene, non voglio riferirmi a chi magarei non arriva realmente alla fine del mese, a chi ha perso tutto. Mi riferisco invece a chi non ha raggiunto questo limite ma che si sente comunque in gabbia, circondato dall'incertezza e che, di fronte alla paura del futuro, rischia di restare bloccato; è soprattutto in situazioni di questo genere che ci si accorge, all'improvviso, di non riuscire più a godere delle soddisfazioni come si riusciva a fare prima; ci si chiude come dentro un bozzolo difensivo che , se da un lato attutisce l'impatto delle angosce, dall'altro riduce anche l'effetto delle gioie che comunque rimangono.
Ed alle volte è davvero sufficente un sorriso. Noi in generale non ci rendiamo conto a pieno di quanto la nostra vita psichica sia influenzata dall'atteggiamento corporeo; i nostri muscoli inviano di continuo informazioni al cervello e ne modificano l'attività di conseguenza.
Vi è mai capitato di essere particolamente giù di morale e di accorgervi che solo raddrizzando la schiena (perchè quando siamo abbattuti tende a curvarsi) sembra quasi che la situazioni migliori?
E magari vi è successo che persi tra mille pensieri questi sono come spariti nel momento in cui vi è capitato di "sentire" fisicamente il modo in cui stavate camminando o stavate seduti ( e questo perchè quando ci concentriamo sul corpo autamaticamente rientriamo nel presente)?
E quindi, per tornare all'argomento, vi è mai successo che vi siete trovati a sorridere (e non intendo ridere a crepapelle, solo sorridere un pò) per qualcosa che avete visto o per una battuta che avete solo ascoltato al bar a colazione, e di sentirvi all'improvviso meno turbati di quanto eravate solo un attimo prima?
Ecco, se vi è capitato questo conoscete i benefici che può apportare un sorriso.
Pensate che esiste una vera e propria scienza che studia la risata e le emozioni positive in funzione di prevenzione, riabilitazione e formazione.
E allora ecco i vari benefici della risata:
Ridere mette in movimento almeno 20 muscoli facciali, molti dei quali si attivano solo con una risata spontanea e ciò aiuta a prevenire la comparsa di rughe sul nostro viso.
Una risata di cuore smorza la tensione e allenta lansia. Infatti mentre ridiamo il nostro corpo viene indotto a rilasciare alti livelli delle nostre droghe naturali: le endorfine prodotte (betaendorfine) combattono la debolezza fisica e mentale e alleviano lo stress e le tensioni accumulate nel nostro organismo riducendo anche linsonnia, mentre le encefaline rinforzano il nostro sistema immunitario (lo stress aumenta le probabilità di ammalarsi). Tutte le emozioni negative come lansia, la depressione o la rabbia indeboliscono il sistema immunitario, riducendo la sua capacità di combattere le malattie, mentre la risata e tutti i pensieri positivi aumentano la produzione di cellule natural killer, cellule che combattono i virus , e degli anticorpi.
Con una bella risata la respirazione tende ad aumentare, migliorando la trasformazione dellacido lattico e la respirazione in generale provocando un rilassamento muscolare delle fibre lisce dei bronchi per azione del sistema parasimpatico dando benefici in particolare a chi soffre di bronchite, di asma, ed a coloro che soffrono di enfisema.
Un sorriso quindi migliora la nostra circolazione sanguigna, permettendo una maggiore ossigenazione a tutti i tessuti del nostro corpo e velocizzando la loro rigenerazione.
Allora, la prossima volta che ci capita di sentire o vedere qualcosa di divertente non restiamo chiusi nella cupezza ma lasciamoci andare ad un sorriso e magari ci accorgeremo che poi la vita sembra un pò più rosa.

lunedì 2 settembre 2013

Finite le vacanze...come combattere "lo stress da rientro"

 Eccoci a settembre, e per molti questo significa “fine delle ferie” e, ancora peggio, rientro al lavoro passando per il “trauma da lunedì”. Alcune persone riescono a superare il rientro abbastanza agevolmente, altre meno, e questo per motivi caratteriali; in ogni caso tutti al ritorno fanno fatica a ripartire, a riadattarsi ai vecchi ritmi, e ci si sente stanchi e deconcentrati.
Quando le difficoltà sono maggiori si può parlare di “stress da rientro”, i cui sintomi più comuni sono: mal di testa, stordimento, irritabilità, sonno disturbato, calo dell’attenzione, debolezza, malinconia, apatia e, nel peggiore dei casi, depressione, generati da una condizione psicologica negativa per aver vissuto una lunga vacanza spensierata, senza regole e costantemente rivista in veste nostalgica. Secondo i dati Istat un italiano su dieci trova difficoltà a riadattarsi nel solito tran tran quotidiano, questa difficoltà, nei casi più gravi, dura anche mesi.
Ritornare alle “vecchie abitudini” significa ad ogni modo andare incontro ad un cambiamento rispetto ai ritmi fisiologici e psicologici a cui ci siamo abituati durante le vacanze. Laddove il cambiamento richiesto è troppo repentino, il nostro corpo “legge” tali richieste come un segnale di emergenza attivando dal punto di vista fisiologico delle risposte innate utili a fronteggiare la situazione. Infatti i sintomi sopra elencati non sono altro che una risposta del nostro corpo conseguente ad un cambiamento repentino cui il nostro fisico e la nostra mente debbono adattarsi.
Ovviamente questo stato di disagio è fisiologico perché è normale che il nostro corpo e la nostra mente abbiano bisogno di un po’ di tempo per abituarsi a nuovi ritmi (è per questo motivo che a volte anche i primi giorni di ferie possono risultare stressanti) ed in genere bastano un paio di settimane per riabituarsi.
Ma come è possibile “auto-aiutarci” a superare lo stress da rientro? A volte è sufficiente prendere alcuni piccoli accorgimenti, qui ne elenchiamo 7:

1) sarebbe meglio anticipare il rientro di qualche giorno prima di ripartire con il lavoro, in modo da rientrare gradualmente nella routine quotidiana ed avere il tempo per sbrogliare le eventuali incombenze che si sono accumulate nel periodo delle ferie (potreste trovare bollette che vi attendono). Inoltre, siccome a volte le vacanze vengono svolte a ritmi abbastanza sostenuti, si può approfittare di questi giorni “cuscinetto” per dedicarsi solamente al riposo. Se questo non è stato possibile potete provare a supplire con l’immaginazione, iniziando a prepararvi mentalmente al rientro qualche un paio di giorni prima (non di più per non rovinarvi gli ultimi giorni) della fine delle vacanze.

2) altra cosa che si può fare negli ultimi giorni di ferie è fare un elenco di situazioni legate al rientro che vi creano ansia, prendete carta e penna e provate a fare un piccolo elenco. Definite con precisione, meglio che potete, quale è il problema per voi in quella situazione; poi pensate a quel problema, quali potrebbero essere le possibili soluzioni e in che modo si potrebbero mettere in pratica, poi passate all’azione e verificate dopo qualche tempo se avete raggiunto il vostro obiettivo. Se non ha funzionato non scoraggiatevi e provate a pensare ad un’altra soluzione, prima o poi arriverà quella giusta.

3) continuate a dedicarvi ad attività divertenti e rilassanti; non è bene cambiare in maniera repentina le proprie abitudini, quando tornate a casa continuatele, magari in tono minore, per rientrare gradualmente nel ritmo lavorativo o scolastico.

4) nella stessa ottica continuate a mantenere alcune abitudini rilassanti all’interno della famiglia, con il partner o con gli amici….non rimettete subito il muso lungo da lunedì.

5) foto e ricordi sempre in compagnia; guardare le foto delle vacanze con la famiglia o con gli amici può essre un’attività estremamente divertente, che permette di portare il clima di festa anche nei primi giorni di rientro. Non fatelo da soli, perché così scatterebbe una nostalgia che potreste non arginare e potreste trovarvi pieni di rimpianti come i protagonisti di una nota compagnia di crociere di qualche anno fa.

6) se al rientro vi ritrovate sommersi dal lavoro provate, quando e de è possibile, a delegare gli impegni ad altri. La nostra mente ha bisogno di sintonizzarsi con calma su nuovi ritmi; l’importante è che lasciate andare le manie di controllo che non vi fanno fidare dei collaboratori.

7) non è possibile fare tutto e subito, soprattutto con lo stress da rientro; questo significa che se si è accumulato molto lavoro piuttosto che impazzire per sbrogliarlo tutto ( e male ) in 2 giorni è sicuramente meglio stabilire delle priorità, dare precedenza a ciò che è più importante, così ci impiegherete qualche giorno in più ma è anche garantita una maggiore lucidità ( e se proprio non ci riuscite andate al punto 6)

Questi sono solo alcuni consigli che però possono aiutare ad affrontare meglio il rientro, provare per credere e, se avete qualche altro consiglio…..fateci sapere!

domenica 23 giugno 2013

Paura d'amare; cos'è e come affrontarla

Innamorarsi è una delle esperienze più belle ( e spesso sconvolgenti) che si possano provare, ma non è così per tutti, ci sono persone che hanno paura di amare ed essere amati, magari per paura di essere traditi o di perdere il controllo sui propri sentimenti. Di questa paura se ne è spesso occupato il cinema, vedi il film che proprio “Paura d’amare” si intitola….pensiamo alla protagonista Julia Roberts che in “Se scappi ti sposo” fugge da ben 4 matrimoni…e l’elenco potrebbe anche essere molto più lungo; però a questo fenomeno si è anche interessata la psicologia, ovviamente, anche se trovando un termine più “scientifico” per chiamarlo, la cosiddetta Philofobia, che indica appunto la paura di innamorarsi e di essere amati da qualcuno. Desiderare immensamente una persona, lasciarsi andare, fidarsi pienamente, aprirsi e perdere parte della propria razionalità sono solo alcune delle sensazioni che vengono provate durante un vero e proprio innamoramento ma, nel momento in cui tutto ciò spaventa, scatta una sorta di meccanismo difensivo che è appunto la philofobia; molte persone avvertono infatti una grande difficoltà ad approcciarsi all’altro, data da profondi timori, ansie, incertezze, che si basa sulla paura dell’altro e sulla mancanza di fiducia. La gioia di sentirsi parte di una coppia viene vissuta come una minaccia alla propria stabilità emotiva, e viene vista con diffidenza.


Questa paura, nelle sue fasi acute e nei casi più estremi, si manifesta addirittura con gli stessi sintomi di una attacco d’ansia o di panico. Come sintomi possiamo trovare infatti: sudorazione eccessiva, nausea, tachicardia, agitazione ed altri sintomi tipici dell’ansia, ma anche difficoltà legate alla sfera sessuale come la difficoltà a raggiungere l’orgasmo nella donna o le disfunzioni erettili nell’uomo.
Ma quali sono le cause che creano questo meccanismo difensivo?
Alcune possono essere definite reattivo-situazionali, quali ad esempio una passata e profonda delusione sentimentale che ha profondamente ferito al punto di non volerne più sapere d’innamorarci per il timore di soffrire di nuovo o di essere nuovamente delusi.
Altre volte l’amore può venire considerato un fattore invalidante in quanto può far sentire deboli. È tipico delle persone che vogliono mostrarsi forti e confermare la propria autosufficienza, in questo contesto l’amore  viene visto come una minaccia perché entra in gioco anche la paura di perdere la propria libertà o il controllo delle proprie emozioni. L’amore procura infatti cambiamenti radicali nelle abitudini e nello stile di vita; quindi se nella persona c’è una forte resistenza al cambiamento innamorarsi o essere amati può fare paura (vedi: Paura di cambiare).
Spesso le cause sono rintracciabili nel rapporto con i genitori; sono appunto loro a tracciare le modalità con cui poi da adulti rispondiamo all’amore. Se un genitore non esprime correttamente i suoi sentimenti oppure non riconosce quelli di suo figlio si può contribuire a creare una grossa confusione dal punto di vista affettivo. A causa di questa confusione il bambino può essere portato a nascondere i suoi sentimenti o a negare tutto un vissuto emotivo ed affettivo che nell’età adulta diventerà la caratteristica che gli impedirà di avere delle relazioni affettive soddisfacenti.
Non bisogna poi dimenticare che può esistere un fattore cosiddetto “ auto lesivo” che porta le persone a sabotare in tutti i modi la propria storia d’amore.
La naturale conseguenza della Philofobia è che si tende a scegliere rapporti impossibili la cui conclusione è la rottura; si trovano pretesti per litigi e vengono preferiti rapporti tumultuosi. Talvolta ci si concentra su particolari o difetti impercettibili o si creano situazioni atte a distruggere il rapporto. Il problema è che nonostante tutto questo la fuga dal rapporto non elimina bensì intensifica la paura stessa, che finisce per nutrirsi di se stessa.
Ma, a questo punto, cosa è possibile fare per comprendere e provare a gestire questa paura?
  • Innanzitutto è necessario smettere di fuggire dai rapporti ma cercare di comprendere i sintomi del disagio, per aumentare la consapevolezza e, tramite la riflessione, ridurre l’intensità della paura.
  • È importante evitare il più possibile i confronti con le storie passate; restare concentrati nelle storie passata fa infatti aumentare la paura di un nuovo fallimento ed impedisce di godersi i momenti belli della storia attuale.
  • Bisogna ridurre le aspettative per il futuro, che potrebbero intensificare i sintomi e cercare di vivere nel presente, cercando di affrontare ogni giorno come se fosse nuovo.
  • Una cosa che sicuramente non guasta mai è il coraggio di parlare con il partner delle proprie paure e raccontargliele. In questo modo si intensifica l’entità della fiducia canalizzando il rapporto di coppia in modo positivo; l’unica cosa a cui fare attenzione è che questo non sia un cosiddetto argomento Tabù che va affrontato con maggior attenzione (vedi: Di cosa parlare in coppia?).
È chiaro che queste indicazioni non sono la panacea per tutti i mali, ma almeno permettono di diventare consapevoli del problema; la consapevolezza della situazione in cui ci troviamo ha il potere di farci sentire responsabili per essa, ci fa smettere di prendercela solo con gli altri, ci fa capire che la responsabilità di un rapporto che non va è anche la nostra.

Detta così sembrerebbe che diventare consapevoli sia solo una sofferenza, ma questo non è vero,  solo nel momento in cui percepiamo che un certo problema ci appartiene siamo capaci di mettere in atto le strategie per affrontarlo e quindi stare meglio; come diceva R. Carckhuff, solo quando ci si sente responsabili del proprio stato di sofferenza si riesce a trovare dentro di sé la forza per risolverlo e per trasformarlo in qualcosa di buono.

martedì 11 giugno 2013

Elogio della depressione.....matrice di creatività

Illustrazione dal "Libro Rosso" di C. G. Jung

Spesso i comportamenti frettolosi, accelerati della nostra epoca nascondo una forte paura del vuoto e della depressione. Ma se da un lato questa patologia provoca dolore e solitudine, dall’altro può portare, se ben affrontata, delle insospettate risorse creative.

Della nostra epoca si dice sia “l’epoca della maniacalità”, della fretta e dell’ansia; in effetti è vero che siamo sempre più “di fretta”, perfezionisti, preoccupati, accelerati….e di conseguenza anche un po’ più superficiali.
Ma quante volte il perfezionismo nasconde la paura dell’abbandono e del biasimo? Quanto spesso l’accelerazione e la fretta mascherano la paura del vuoto? Quanto la possibilità di avere molte più informazioni e competenze superficiali si trasforma in paura dell’approfondimento, in svogliatezza?
In psicologia si dice che l’ansia vada “a braccetto” con la depressione, indicando con questo che spesso, molto spesso, la prima non è altro che la maschera della seconda.
Allora, forse, più che vivere in un’epoca maniacale viviamo “anche” nella sua controparte, un’epoca depressiva; qualcuno che non ricordo spiegava molto bene che in tempi come i nostri la depressione diventa una specie di “bene fondamentale”, perché va a soddisfare la naturale esigenza dell’uomo di approfondire sé stesso, le sue motivazioni e il senso della sua vita. Vivendo in continuo movimento e mutamento viene a mancare la possibilità di fermarsi, di sostare dentro se stessi e comprendersi un po’, fare il punto della propria situazione esistenziale. A questo punto il comparire di periodi di depressione (ovviamente non stiamo parlando della vera e propria depressione patologica descritta nei manuali diagnostici ma di quei momenti di profondo abbattimento in cui capita di incappare nella vita), diventa funzionale proprio a questi obiettivi.
Con questo non si vuole assolutamente minimizzare la portata “deflagrante” di un episodio depressivo, che provoca sempre una sofferenza acuta quanto “sorda” e di difficile risoluzione. La solitudine è forse una delle principali sofferenze di una persona depressa, quella straziante sensazione che non si possa fare affidamento su nessuno al di fuori di se stessi, quel circolo vizioso che continua a far sentire separati dal resto del mondo, una sofferenza che sembra nutrirsi e vivere di se stessa. Le persone che soffrono di più sono proprio quelle che non hanno la possibilità di dialogo, di confronto con gli altri; noi tutti infatti siamo prepotentemente sospinti a ricercare rapporti, perché è solo tramite questi che possiamo veicolare fuori di noi, e conoscere, le nostre emozioni.
Nei casi più gravi l’impressione è quella di una caduta senza ritorno; non c’è più nulla nel mondo esterno che possa aiutare, nessuno stimolo che solleciti l’interesse o che possa accendere un barlume di progettualità.
Ma allora come si fa per uscirne e, ancora, come si fa per convivere con questo stato dell’anima quando si presenta? L’unica soluzione pare essere quella di attribuire un senso agli eventi che provocano questo dolore. In questo caso è interessante quanto affermato da Carotenuto:
“ Le ferite dell’anima, però, possono trasformarsi in principi attivatori del nostro risveglio psicologico, capaci di innescare la nostra rinascita, il cambiamento a cui tutte le esperienze vissute ci hanno preparato. La particolarità della sofferenza, infatti, consiste nella possibilità che essa ci offre di trarre nutrimento dallo sviluppo della nostra vita interiore…… la sofferenza e la “prigionia” della nostra anima illuminano e rendono visibile il patrimonio più prezioso e nascosto delle nostre risorse psichiche.”
Uscire da una depressione significa portarsi dietro un pesante ma ricco fardello: tutte le esperienze psicologiche e tutte le riflessioni generate dalla depressione stessa. È per questo che in genere dopo un episodio depressivo se ne manifesta uno maniacale, di entusiasmo e di confusione, ricco di idee e spunti creativi che se si avrà costanza potranno essere messi a frutto. Non per niente molti artisti riferiscono di aver creato le loro opere migliori in una sorta di “incendio creativo” conseguente ad un periodo di depressione e profonda solitudine; questa infatti più di altre sofferenze psicologiche rappresenta una possibilità di metamorfosi e, spesso, fonte di arricchimento interiore.
Ovviamente questo non vuol dire che una depressione sia qualcosa di auspicabile; tutt’altro, dovremmo però essere capaci di entrare più spesso in contatto con le nostre profondità inconsce, trovare più spesso dei momenti per stare da soli con noi stessi; nel momento in cui le occasioni di “introversione” trovano libera espressione nella vita quotidiana diminuisce il rischio di affrontare un vero e proprio episodio depressivo.
Avremmo così più momenti di consapevolezza e saremmo capaci di trovare soluzioni creative alle nostre difficoltà molto più spesso e senza dover necessariamente attendere di sprofondare nel buio.

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