sabato 13 ottobre 2012

Bambini contesi (nella società dell'immagine)


Aumentano le coppie in crisi e le separazioni, e spesso chi ne paga le maggiori conseguenze sono i figli. Emblematica in questi giorni la notizia del bambino preso forzatamente all’uscita di scuola dal padre con l’appoggio delle forze dell’ordine; di questo fatto sono girati dei video che tutti abbiamo avuto occasione di vedere.
In seguito a tutto ciò sono piovuti giudizi da tutte le parti (penso in particolare a TV e giornali) giudizi leggeri ed affrettati, fatti più per fare notizia che per comprendere realmente la situazione.
Personalmente ho trovato questa sovraesposizione mediatica piuttosto spiacevole e di cattivo gusto; è davvero necessario che questo bimbo debba vivere con la consapevolezza che tutta l’Italia conosce la sua vergogna? (perché anche se lui non ha colpa la vergogna rimane sua, perché è un’emozione legata al corpo e non alla razionalità, e nella memoria corporea rimane) Ed inoltre: troviamo vergognoso che questo fatto si sia svolto in un luogo pubblico, di fronte ai compagni di scuola del bambino stesso e non, magari, a casa sua…….ma allora non è anche vergognoso che il video fatto col telefonino sia stato mostrato in tutte le case di tutte le famiglie ed a tutti i bambini che guardavano la televisione? Certo, dovere di informazione si dirà…..ma non si può informare senza per forza mostrare tutto, proprio tutto?
Il fatto è che oggi viviamo nella società dell’immagine, tutto deve essere visto per essere eccellente e fare notizia, non ci si può più limitare ad “ascoltare” una informazione come succedeva in passato.
Le immagini però possono essere pericolose, il nostro stesso inconscio comunica per immagini e sappiamo bene tutti quanto a volte siano difficili da dimenticare le immagini degli incubi. Già Jung distingueva due modi di pensare; uno per parole, direzionato, razionale ed argomentativo, ed un altro per immagini, associativo, emotivo e meno dispendioso. Da qui la pericolosità delle immagini; nel caso del fatto sopracitato l’immagine è così forte che impedisce di pensare razionalmente e di conseguenza libera le emozioni personali, diventa così facile esprimere indignazione o giudizi in maniera affrettata e superficiale, chi di noi infatti non sarebbe inondato dallo sdegno di fronte alla vista di un bambino trascinato per la strada…….ma questo modo di pensare potrebbe impedire di approfondire l’argomento, informarsi sulle ragioni di questa storia.
Allora cercando di passare ad un pensiero direzionato ci si accorge che la situazione di questa famiglia divisa è piuttosto complessa.
innanzitutto è necessario comprendere cosa accade, almeno a grandi linee, nelle coppie che si separano; due sono gli elementi che andrebbero analizzati: la crisi della coppia ed il “possesso” (mi si passi il termine) dei figli.
Il processo di separazione della coppia tira in ballo i processi di attaccamento; il legame diattaccamento tra coniugi ricalca in qualche modo il legame di attaccamento che si è avuto con i genitori e quindi è difficile da sciogliere e comunque sempre molto doloroso perché è all’origine dei sentimenti di stabilità e sicurezza di cui è difficile fare a meno di punto in bianco. Questo meccanismo ha ovviamente radici nella fisiologia del cervello  (è legato alla produzione di endorfine, le sostanze che calmano la mente) e quindi una separazione comporta modifiche dell’umore e del comportamento; inoltre bisogna far scendere a patti l’emotività con la razionalità, cambiare abitudini e spesso modificare la propria personalità. A questo punto si può immaginare quanto questo percorso sia difficile e lungo, e come in realtà solo poche coppie riescano a viverlo fino in fondo. Come conseguenza si creano stati di rabbia e frustrazione, insoddisfazione e depressione che avvelenano quasi sempre le separazioni.
Da qui si può continuare analizzando il secondo elemento, il “possesso” dei figli, come diceva la Oliverio Ferraris da questi ultimi non è infatti possibile divorziare. Così finisce che la separazione o il divorzio alterano la vita affettiva dei bambini e scompigliano le loro sicurezze; questi sono però vissuti normali in casi del genere e possono essere affrontati bene dal bambino nel momento in cui anche i genitori cercano di affrontare al meglio la separazione. Questo presuppone però un fatto molto importante, ossia che i genitori siano capaci di distinguere se stessi dai propri figli; in questo caso infatti sono capaci di pensare al bene dei figli e di separarsi in maniera meno conflittuale possibile. Il problema sorge all’opposto, quando non esiste distinzione e i figli sono visti esclusivamente come parti di sé e non come individui separati.
È proprio in questo caso che possono diventare strumenti di rivalsa e vendetta nei confronti del coniuge, oppure possono essere utilizzati come strumenti di sostegno, oppure come dei piccoli mediatori. Ovviamente questo non significa che i padri e le madri siano dei mostri, il fatto è che i bambini stessi per cercare di mantenere l’affetto di mamma e papà tendono a trasformarsi di volta in volta in arma, strumento di sostegno o piccoli mediatori; si sviluppa così una sorta di collusione tra i bisogni dei genitori e quelli dei figli che portano a situazioni disagevoli per questi ultimi.
Per tornare all’origine di questa riflessione sembra che i due genitori del bambino sopracitato non riescano proprio a comprendere dove sia il meglio per il loro figlio, forse troppo persi nel loro vicendevole risentimento, forse troppo chiusi in sé per comprendere che il loro bambino ha delle sue esigenze, forse troppo provati da poterlo vedere davvero per quello che è e non soltanto come una loro appendice.
Un’ultima riflessione; forse aiutando maggiormente i genitori quando si separano o divorziano si potrebbe evitare di raggiungere il parossismo di certe situazioni ed evitare alcuni traumi aggiuntivi ai bambini.

domenica 7 ottobre 2012

GLI SCANDALI DELLA POLITICA E LA SCOMPARSA DEL SENSO DI COLPA





L’estinzione del senso di colpa nella politica ha raggiunto al momento attuale dei livelli che appaiono sempre più preoccupanti.
Nelle televisioni come nei giornali figure della politica, della finanza, della pubblica amministrazione fanno la fila per esprimere la mancanza di preoccupazione riguardo agli scandali che li coinvolgono, per dire a tutti quanto siano “sereni” nel centro del ciclone che hanno provocato.
Contemporaneamente dalla gente sorge sempre più forte una domanda….ma come mai non provano almeno un po’ di imbarazzo per ciò che hanno fatto?....una domanda che tra l’altro non ha necessariamente la qualità dell’indignazione o della rabbia quanto dello stupore. Si perché sembra stupefacente, non tanto l’entità del furto eventualmente effettuato, quanto la capacità di queste persone di mostrarsi in pubblico dopo esserne stati accusati.
Tutta questa situazione ci fa riflettere su come si stia trasformando oggi il senso di colpa tanto citato dalla psicologia e dalla psicanalisi, che oggi pare provocare effetti differenti rispetto al passato. Esso nasce dalla consapevolezza di aver danneggiato qualcosa, oggetti ma anche persone, con i propri comportamenti che in genere sono stati aggressivi o almeno indirizzati a soddisfare un proprio desiderio di forza o “onnipotenza” in barba agli altri. Questo tipo di comportamenti possono essere naturalissimi, utili nel momento in cui permettono la propria affermazione personale, ma poi nel loro stesso essere comportano anche lo “scotto” di pagare le conseguenze dei propri atti nel momento in cui portano al danneggiamento altrui; in sintesi si parla della responsabilità personale.
Appare quindi auspicabile che il senso di colpa porti ad un tentativo di riparazione del danno; questo però non è scontato. Il senso di colpa infatti non è facile da sostenere, appunto perché porta con sé il pagamento delle conseguenze; tornando ai vari personaggi pubblici non sembra di vedere una particolare sofferenza nel momento in cui continuano a dire che non sono responsabili e che sono “sereni”, questo dovrebbe indicare il fatto che stanno cercando di fuggire dal senso di colpa negandolo.
Questa negazione può seguire due strade; da un lato si può restare “incastrati” nella colpa, e questo significa che per paura di danneggiare gli altri non si fa più nulla, si resta bloccati e depressi in senso clinico; dall’altro si può fuggire dalla colpa innescando un sistema maniacale, cerco cioè di riparare freneticamente quello che ho rotto facendo finta che non sia successo niente.
È come rompere un vaso; nel primo caso mi convincerò di distruggere tutto ciò che tocco e quindi non prenderò più in mano niente, nel secondo provo a incollare i pezzi della porcellana sperando che nessuno si accorga della differenza, oppure dicendo che non sono stato io, diventando un bugiardo.
Pare che le persone che sempre più spesso vediamo in TV abbiano scelto la seconda strada, quella del comportamento maniacale.
Entrambe queste modalità però non sono adeguate, per il semplice motivo che negano un fatto fondamentale, ossia che nel muoversi (e nel vivere) inevitabilmente qualcosa si rompe e che l’unica cosa possibile da fare è ammettere l’errore e cercare di riparare i danni in modo maturo oppure facendo più attenzione per il futuro. Per il resto altrimenti esistono solo il blocco depressivo o la vana fuga maniacale.
Se però l’attuale situazione politica e finanziaria nega il senso di colpa è perché la società odierna sta muovendosi nella stessa direzione; che è poi la direzione dell’eccesso di individualismo.
Come già detto il senso di colpa diventa un elemento ponte necessario per sviluppare il senso di responsabilità personale, che a sua volta comporta la capacità di mettersi nei panni degli altri (altrimenti non potremmo renderci conto di averli danneggiati). Oggi invece sta via via assottigliandosi la consapevolezza della presenza dell’Altro; se si pensa di esistere senza gli altri, spettatori solo di sé stessi, come si può provare il senso di colpa?