sabato 3 novembre 2012

Perchè è importante giocare con i figli



Secondo un articolo recentemente pubblicato da Repubblica pare che i genitori italiani diano poca importanza ai momenti di gioco con i propri figli tanto da dedicare a questa attività solo 15 minuti al giorno in media (minuti ripartiti in “quasi mai” durante la settimana e poco tempo durante il week end); il resto del tempo disponibile fuori dal lavoro viene speso per i compiti oppure portandosi dietro i figli nelle diverse attività come fare la spesa oppure, ancora, accompagnando i pargoli ai vari corsi a cui vengono regolarmente iscritti. Tutto questo non stupisce se si pensa che solo 1 su 5 genitori intervistati ritengono il gioco una attività importante.
Questa idea però non è corretta; basti pensare che è proprio tramite l’attività di gioco che tanto il bambino quanto l’adulto imparano a gestire le proprie emozioni; pensiamo per esempio all’aggressività che può essere agita “come se” fosse vera e quindi liberata in maniera inoffensiva.
In questo senso il gioco diventa un modo adeguato per scaricare energia in eccesso, ma la sua utilità non si limita a questo. Pensando al rapporto genitori-figli l’attività ludica diventa una possibilità di confronto, giocando il bambino impara qualcosa in più sui propri genitori, li osserva e studia le loro espressioni, i loro movimenti (ed è per questo che sono perfettamente in grado di capire se il papà o la mamma stanno giocando solo per farlo contento oppure perché ne hanno veramente voglia; quindi è inutile cercare di imbrogliarli!) ed in questo modo misura le sue “forze” ed impara a comprendere quale è il suo ruolo nella famiglia, quello del bambino appunto. Infatti a partire dai 3 anni circa il bambino più che vincere preferisce confrontarsi con la perdita ( non è più utile farlo vincere per forza) e fa esperienza del fatto che il suo, in famiglia, è il ruolo del “piccolo”, che i genitori sono più forti ( e aggiungo che proprio per questo gli danno sicurezza) e così facendo inizia a confrontarsi con la realtà “vera” dalla quale non si può uscire sempre vittoriosi. Inoltre nel confronto inizia appunto a “studiare” i genitori ed in questo modo ad imitarli, gettando le basi per l’identificazione con i padre o la madre.
A questo punto va precisato che il gioco acquisisce un valore affettivo sempre diverso a mano a mano che il bambino cresce:
  • Fino al primo anno di vita l’attività ludica garantisce al bimbo le sensazioni (soprattutto corporee) che gli permettono di esplorare se stesso ed il suo corpo ma anche quello della madre; i giochi infatti sono quelli del toccare il corpo della mamma o gli oggetti che la mamma guarda, oppure, quelli di agitare braccia e gambe; questa modalità permette al bambino di distinguere tra sé e “non sé”, tra sé e l’altro.
  • Intorno ai 2 anni si aggiunge la possibilità che qualche oggetto acquisisca un valore “transizionale” ossia di sostituzione della figura di attaccamento nel momento in cui è concretamente assente. Nel tenere con sé sempre lo stesso pupazzo o nell’accarezzare la copertina la sera, il bambino dimostra di riuscire a sopportare l’assenza della mamma; di nuovo il gioco lo aiuta a separarsi e distinguersi dalle figure di riferimento.
  • Intorno ai 3 anni inizia il gioco di socializzazione; il bambino inizia a dimostrare attivamente il desiderio di giocare con gli altri, in primis i genitori.
  • Dai 4 anni il gioco assume pienamente il suo valore simbolico, ossia diventa un modo per esprimere il suo mondo interno, le sue emozioni, per discriminarle e riconoscerle.
  • Dopo i 6 anni il gioco diventa pienamente “sociale”; il bambino inizia a giocare in gruppo ed in questo modo impara a stare con gli altri, a rispettare le regole e le eventuali “penitenze”.
In sintesi il gioco svolge una doppia funzione nello sviluppo evolutivo: da una lato consente al bambino di comprendere la realtà a lui esterna e gli consente un buon adattamento; dall’altro lo aiuta a conoscere, interpretare e controllare il proprio mondo interno fatto di  desideri, pulsioni ed istinti.
Nel suo svolgersi il bambino può comprendere ed interiorizzare ogni nuova esperienza ed ogni nuova acquisizione e diventa in grado di interpretare i propri desideri ed iniziare a dar loro una forma di progettualità.
Il gioco è comunque (e per gli stessi motivi) fondamentale anche per l’adulto e nel suo svolgersi diventa un vero e proprio “archetipo” capace di organizzare l’attività psichica dell’uomo.
In molte mitologie la Divinità è vista come impegnata in una attività di gioco e che giocando (come Shiva per gli Indù) oppure danzando (come la Sapienza di Dio) crea il mondo; in questo modo l’uomo subisce il “gioco” divino ma può anche imitarlo finendo per incarnare la creatività divina e per realizzarla creando arte e cultura.

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